Lo vidi subito o meglio lo sentii appena entrai nella saletta; era un quadro piuttosto grande che rappresentava un paesaggio.

Rimasi un po’ a guardarlo, a fissarlo attentamente, meravigliato per la grande capacità di attrazione che possedeva, per quel senso di spazio, di aria e di luce che sprigionava insieme al sentimento della natura, al suo palpito ed alla sua vita silente e misteriosa.

Eppure era un semplice paesaggio, una montagna grigio azzurrina sotto un cielo chiaro e, in basso, un grappolo di olivi cinerei piegati dai venti delle cattive stagioni.

Era decisamente un buon pezzo di pittura dalle tonalità delicatissime, trasparenti e luminose, una pittura sana, quasi castigata, libera da accenni retorici o letterari.

Ho tentato con queste poche parole di descrivere un’opera dell’amico Mucci e l’impressione che mi fece e che fece anche alle giurie che gli attribuirono il Primo Premio, quest’estate, alle mostre di Montecarlo e Camigliano.

Non era certamente il primo quadro di Mucci che vedevo; ne ho visti diversi, dalla personale alla Spampanato, alla seconda, dove il colore era diventato più sostanziato, la composizione più sintetica e spaziale, tanto nei paesaggi che nelle nature morte, e poi altri recenti che indicavano che il pittore continuasse a muoversi con ostinazione nel suo itinerario di ricerca verso la conquista di un’assulutezza stilistica e il raggiungimento di un estremo lindore compositivo.

Mucci è dunque un pittore dotato di personalità e di cultura artistica, che si avverte nei suoi lavori, ma io penso che non possa fare a meno di interrogare il suo cuore quando si trova davanti ad una tela bianca e incomincia a impastare i suoi preziosi azzurri e verdi teneri…

Enrico Ulivieri   (1981)

 

 

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