Tito Mucci parla poco, ma quel poco compendia sentimenti esplosivi e indicibili malinconie.

La sua calma, la sua cortesia, il suo lento e trasognato dialogare, che sfocia nel mare del soliloquio come l’onda che domanda e risponde senza curarsi delle prore che la provocano, scoraggiano l’interlocutore il quale cerchi di penetrare a fondo dentro lui per scoprire la vera matrice della sua pittura.

Del resto chi lo conosce da diversi anni e più di noi gli è vicino, ha dichiarato che il Mucci è un uomo sensibilissimo ed ha iniziato il suo discorso attingendo ai suggestivi scorci naturali della campagna lucchese in cui cerca la luce, una luce che fonde e da un tono particolare a tutte le cose.

Non intendiamo certo aggrapparci alla altrui autorevolezza per tergiversare e prendere una comoda scappatoia per non pronunziarci.

Abbiamo detto questo solo per non attribuire a noi stessi (il che non risponderebbe alla realtà) il merito della scoperta e per non ripeterci a poco più di un anno, in quanto il "chiarismo" del Mucci non ha subito sostanziali modificazioni, a parte il maggiore impegno nella scelta dei colori, tenui, delicati, teneramente velati, e lo stile con cui imprime un fresco ritmo alle visioni evocate dalla magia del sogno rimane immutabilmente elegante.

Il "vero" di Tito Mucci è un vero impalpabile, teso dalla corda dell’anima, al limite della leggibilità, un vero ripurificato dalla coscienza dell’artista, che in questo modo soffoca il grido contro gli attentati perpetrati di continuo per uccidere la natura.

Il Mucci rifugge dal dramma e chiude la gola al pianto: soffre, come tutti gli uomini sensibili, che osservano nella vita severe regole morali, forse più degli altri, ma quando dipinge davanti a lui tutto si trasforma e ci restituisce le cose non come sono, ma come vorrebbe che fossero, e come in effetti dovrebbero essere perché la Terra potesse ancora mostrarsi la prediletta di Dio.

Mario Marzocchi   (10 gennaio 1978)

 

Abbiamo trovato Tito Mucci più disteso; dal suo sguardo sono fuggite le ombre di quella malinconia che lo forzava all’isolamento e stimolava in lui cattivi pensieri ("Sono solo-come se tutto fosse deserto…" ha scritto nel 1977).

Rifiorito il sorriso sulla bocca ricoperta dalla barba bionda e rinata la fiducia smarrita, ecco prendere vigore anche la sua pittura. "I paesaggi sono rarefatti e i tetti e le ciminiere delle fabbriche di periferia affiorano come fantasmi nella nebbia del mattino", annotammo ne " il Telegrafo "del 17 gennaio 1976.

In verità, suscitavano in noi questa sensazione i colori teneri tirati sulla tela con pulizia al punto di lasciar supporre che, persistendo la sottile ansia della sua anima, tutto sarebbe rimasto inalterato.

Invece, pochi anni dopo, grazie alla serenità ritrovata, pure rimanendo tale il chiarismo scelto a vangelo della propria personalità d’artista, i colori di Mucci hanno acquistato densità e lucentezza; i suoi paesaggi si ripropongono come rigenerati dalla ninfa di una nuova stagione.

La mostra ordinata dalla galleria "Nazionale", dunque, ci presenta un Mucci ancora più valido se non diverso in un tipo di pittura difficile.

Mario Marzocchi   (Il Tirreno 30 marzo 1980)

 

Per la presentazione del suo più recente ciclo di opere, ora esposte nell’ accogliente galleria Raggio d’Arte di Borgo Giannotti, Tito Mucci ha riesumato un brano di lettera datata ottobre 1981 dell’indimenticabile amico Enrico Ulivieri.

E ha fatto bene. Tanto più che nella pagina accanto dello stesso catalogo, Mucci ha inserito, sotto un quadro di girasoli fioriti in maremma, una poesia, "Vento di mare", di sapore autobiografico, forse senza sapere che in gran silenzio anche Enrico si dilettava a scrivere versi gradevolissimi e con proprietà di linguaggio pari alla vena che poneva nel pitturare.

Per quanto ci riguarda, siamo tornati più volte a parlare di lui, come qualcuno ricorderà……

E via via dicendo, disegnando via via con la maggiore esattezza possibile gli sbalzi del suo carattere registrati negli anni

con conseguenti riflessi da questi prodotti nelle sue tele.

Seguendo così da vicino e stimolandolo di continuo con leali incoraggiamenti, crediamo di essere riusciti a portare il Tito Mucci " lento e trasognato", il Mucci autore di variabili "chiarismi", il Mucci aggredito da una strana "malinconia" che lo forzava all’isolamento, a un punto di rottura con il passato amaro e d’incontro con la serenità più vera e assoluta, "Oltre la quiete".

I suoi paesaggi sono ancora più belli, più ricchi di pathos, più affascinanti, e così le nature morte, che nella tenuità delle tinte si ripropongono teneramente personalizzate.

Mario Marzocchi   (Il Tirreno 12 dicembre 1993)

 

 

elenco completo testi critici